Intervista a Eleni Vassilika

La Direttrice ci accoglie con molta gentilezza nel suo studio che a causa dei lavori di ristrutturazione del Museo è necessariamente provvisorio. Siamo circondati da reperti ovunque siamo infatti nella zona attigua ala grande salone dove sono esposti i sarcofagi


La prima domanda che le pongo dr.ssa Vassilika è la seguente: cosa l’ha spinta a occuparsi di civiltà antiche e in particolar modo di quella egizia?

Ho iniziato con lo studio dell’antichità classica, del greco e del latino, sono stata a studiare in Grecia, poi ad un certo punto ho deciso di seguire corsi di Egittologia e la cosa mi ha appassionato molto. Il mio interesse principale era per un approccio interdisciplinare fra le civiltà dell’Egeo nell’Età del Bronzo e l’Egitto. Mentre studiavo ad Atene ho avuto la possibilità di recarmi in Egitto e ne sono rimasta affascinata. Ho conseguito un doppio dottorato dopo il Master’s Degree in storia dell’arte, anche moderna, il tutto continuando a studiare la civiltà greca e quella egizia. Ho deciso di scrivere la mia tesi di dottorato sul periodo tolemaico della storia egizia. Siccome in quel periodo studiavo in Germania mi dividevo ogni settimana tra Colonia e Treviri per seguire i seminari dei vari docenti. A Treviri erano disponibili i rilievi dei muri del tempio di Philae eseguiti nel 1910 che incominciai a studiare insieme alla lingua tolemaica. Grazie a una borsa di studio poi mi sono recata in Egitto e per 7 mesi ho lavorato a Philae, arrivavo sull’isola alle 6 del mattino e me ne andavo alle 6 di sera, ritornando nella casa della missione Tedesca sull’isola di Elefantina (ad Aswan n.d.r.). A Philae ho avuto la fortuna di poter utilizzare le impalcature usate per l’allestimento dello spettacolo di Suoni e Luci che potevo spostare ovunque mi servissero, mi avevano lasciato anche un generatore di corrente con svariati metri di cavi elettrici e due lampade per poter illuminare le pareti a mio piacimento e quindi ho potuto effettuare studi molto approfonditi. Quindi sono tornata a New York e ho lavorato scrivendo per più di un anno, mettendo in ordine i risultati dei miei studi utilizzando anche database all’epoca nuovissimi. Le pubblicazioni mi hanno permesso di ottenere un Getty Fellow, una borsa di studio post-dottorato della Fondazione Getty. Successivamente mi sono dedicata allo studio del Pronao di Edfu


In seguito partecipa ad un concorso e lo vince, divenendo direttrice del Dipartimento di Arte Antica al Fitzwilliam Museum di Cambridge.

Dal 1990 al 2000 sono stata responsabile del dipartimento di Antichità (civiltà greca, romana, egizia, ecc.), insegnavo all’Università non solo egittologia ma anche archeologia classica, e un paio di volte all’anno anche storia dell’arte.


Nel 2000 si trasferisce in Germania al Roemer-und Pelizaeus-Museum a Hildesheim, in Germania.

Si, ma mentre a Cambridge ero responsabile solo del dipartimento di antichità, ad Hildesheim sono stata nominata direttrice di tutto il museo, facendo per la prima volta l’esperienza della direzione di un museo privatizzato come è questo di Torino. Nei 5 anni della mia direzione non solo ho curato l’allestimento del museo, ma ho allestito anche 13 mostre temporanee, svariando dall’arte antica della Cina e del Giappone, sino all’arte moderna ad esempio con le opere di Frank Stella.


Questa esperienza le ha aperto le porte del Museo Egizio di Torino. Sicuramente come Egittologa era già approdata a Torino ma quale è stata la sua impressione il giorno che è entrata come direttrice, oltretutto con la consapevolezza di succedere a grandi direttori del passato, come ad esempio Schiaparelli?

Ho subito realizzato che mi aspettava un grande lavoro! Ad esempio non so ancora adesso esattamente cosa si trova nei magazzini. Ho avuto l’incarico ad ottobre del 2005 e dopo pochi mesi si sarebbero svolte le olimpiadi invernali. Ho iniziato il mio lavoro dal personale, dalla pulizia del museo, dal materiale informativo, e dall’allestimento dei depliant. Io stessa ho scritto in poche settimane oltre mille didascalie degli oggetti esposti, in inglese dato che all’epoca non parlavo ancora un buon italiano. Il mio primo pensiero, e lo dico sempre anche oggi ai miei collaboratori, va al visitatore; bisogna immedesimarsi nei suoi panni: come entra? Come si orienta? Dove può eventualmente sedersi? C’è un punto di ristoro? C’è un numero sufficiente di bagni? C’è un fasciatoio per le mamme che hanno necessità di cambiare i bambini? Ecco quali sono state le mie prime problematiche. Dopo le olimpiadi si sarebbero svolte le paraolimpiadi e quindi abbiamo messo le pedane per i disabili ecc. ecc.


La sua è la visione di un museo tipicamente anglosassone, strutturato per il visitatore. Penso che questo suo modo di concepire il museo le abbia, tra virgolette, creato delle difficoltà, perché purtroppo in Italia il concetto di cultura privilegia molto lo studioso e non la persona di tutti i giorni. Nei paesi anglosassoni e specialmente negli Stati Uniti il museo è la casa di tutti, da noi purtroppo un museo è pensato per l’addetto, l’appassionato, e ci si dimentica quale è il suo vero scopo: la didattica. Quello che mi ha sempre colpito di questo museo, che frequento da quando ero bambino, è che i reperti più belli non venivano ben valorizzati. Ad esempio l’ostracon della danzatrice, che durante una mostra a Palazzo Bricherasio nel 2003 era stata messo da solo in una teca in mezzo a una sala è poi ritornato qui al museo nella sua solita vetrinetta e sono sicuro che il visitatore comune spesso non lo nota neppure.

E’ vero, la mia formazione come storica dell’arte mi ha aiutato molto in questo senso. Sono una appassionata visitatrice di musei, quando sono in una città visito sempre i musei e penso che i cambiamenti facciano bene. A Cambridge, a causa di una ristrutturazione del tetto del museo abbiamo dovuto spostare gli oggetti di epoca medievale dalla sala in cui erano sempre stati in una sala più moderna, con colori più vivaci alle pareti, inaspettatamente gli oggetti avevano una luce nuova e si era verificato un netto miglioramento espositivo. Così non solo la collocazione in una sala diversa, ma anche l’accostamento con oggetti diversi dal solito fa bene all’esposizione.


Concordo. Ad agosto ho avuto l’opportunità di visitare la mostra itinerante su “Tutankhamon and the Golden age” a New York, e sono rimasto colpito dalla bellezza di un ushabty posizionato da solo in una vetrina. Al Cairo ve ne sono centinaia esposti in teche polverose e anonime. Volendo fare una provocazione, non sarebbe meglio esporne una quantità minore, venderne alcuni e con il ricavato allestire un museo degno dei reperti che contiene?

Ci sono due scuole di pensiero, e faccio l’esempio di New York: al Brooklyn Museum hanno esposto solo i reperti maggiormente degni di nota, il resto è conservato nei magazzini, visitabili solo dagli studiosi o comunque da chi ne fa richiesta. Invece al Metropolitan Museum hanno deciso di non avere un magazzino; nulla è nascosto, c’è un percorso da fare con tutti gli oggetti esposti in vetrina, uno dopo l’altro. Nel nostro caso il visitatore che viene al Museo Egizio chiede tre cose: come mai un museo sull’Egitto a Torino? E’ tutto antico o ci sono delle riproduzioni? Cosa c’è nei magazzini che non possiamo vedere esposto? Ecco, l’ultima è una delle domande che le vengono poste attraverso il sito Egittologia.net; cosa contengono i vostri magazzini? Ci sono diversi magazzini, è in atto un inventario e piano piano stiamo studiando nuovi oggetti da esporre nel museo, attualmente studiamo oggetti di piccole dimensioni trovati nell’area di Tebtynis negli anni ’30. Poi stiamo studiando una cinquantina di sarcofagi antropomorfi risalenti al III Periodo Intermedio, cerchiamo di capire quali siano quelli più adatti per essere esposti anche perché molti sono dei doppioni di quelli già visibili nel museo, altri sono difficili da restaurare perché troppo danneggiati, altri ancora sono incompleti o frammentari. A me piacciono molto anche i frammenti di un oggetto antico; un piccolo pezzo incompleto stimola l’immaginazione per cercare di comprendere come poteva essere un reperto nella sua integrità.


E’ vero, mi viene in mente quel bellissimo frammento di statuetta in diaspro giallo che si trova al Metropolitan a New York, quelle labbra sono bellissime, chissà che bellezza aveva quel viso se le sole labbra ci suscitano grande emozione.
Ora, può dirci a che punto sono i lavori di ristrutturazione nel museo? Si potrà vedere qualche risultato già nel 2011 per i 150 anni dell’unità d’Italia? Purtroppo siamo in ritardo, non c’è dubbio, anche se il progetto è già stato approvato e siamo anche pronti ad esporre oggetti giacenti in magazzino.

Purtroppo il problema riguarda lo spostamento della Galleria Sabauda. Ovviamente non è possibile evacuare un museo che si trova in questo edificio da molti anni. Io capisco i miei colleghi che avevano il problema di accettare che il loro nuovo spazio non fosse pronto, d’altronde mancavano i fondi e non volevano imballare e occultare al pubblico le loro opere per 5 anni. Abbiamo come esempio Palazzo Madama che è rimasto chiuso per più di vent’anni, non serve a nessuno fare come è stato fatto per quella struttura. Adesso tutto è risolto e la Galleria Sabauda può cominciare a liberare gli ambienti, ma i tempi sono inevitabilmente slittati, questo è un dato di fatto e non posso farci nulla, tutto ciò esula dalle mie competenze. Per quanto riguarda la Galleria Sabauda infatti, hanno già liberato tutto il seminterrato sotto lo statuario, gli uffici del piano terra più un ammezzato, così l’angolo tra via Principe Amedeo e via Accademia è sgombro. Noi invece abbiamo svuotato l’ala Schiaparelli, gli uffici come vede sono provvisoriamente qui e stiamo un po’ allo stretto, ma siamo in un cantiere e vogliamo seguire i lavori da vicino. Adesso dobbiamo liberare la galleria del seminterrato, lato ala Schiaparelli, e stiamo facendo di tutto per non dover imballare e depositare in un magazzino per chissà quanto tempo dei reperti delicati, stiamo infatti parlando di materiale organico; per questo motivo vorrei tenerli sempre sotto controllo, monitorando, in vetrine, il loro stato di conservazione evitando di avere brutte sorprese nel futuro.


Recentemente un team del British Museum è arrivato a Torino per poter analizzare il Papiro Regio e ricercare alcuni frammenti non esposti al pubblico. Le prime rivelazioni di quegli studiosi crearono un certo fermento, ipotizzando errori anche di una certa importanza nell’interpretazione che è stata fatta di questo importantissimo documento legato alla cronologia egizia. Ci può dire a che punto sono gli studi che il team inglese sta conducendo e se le prime indiscrezioni stanno trovando conferma dal lavoro fin qui svolto?

Come sapete il papiro riporta una serie di nomi di re scritti in colonne. Noi abbiamo fornito agli inglesi alcuni frammenti che giacevano nei magazzini anche quelli che non presentano iscrizioni per capire se il vecchio posizionamento è corretto oppure se bisogna dare una spaziatura maggiore tra i frammenti esistenti. Può accadere ad esempio che si debba allargare la parte relativa al 2° Periodo Intermedio e questo risulterebbe molto interessante non solo per l’egittologia ma anche per altre discipline.


Parlando di Papiri quello che colpisce nell’allestimento della tomba di Kha è la mancanza di due reperti significativi il papiro appunto e il cubito d’oro

Il cubito non ci è stato ancora conferito! È ancora in magazzino e anche io vorrei sapere quando potrò esporlo e questa consegna dipende dalla Sovrintendenza; mi è stato chiesto di proteggere questo reperto con sistemi di allarme adeguati, questo è stato fatto e adesso attendo… Per quanto riguarda il papiro il problema è più complesso: per poter fare il nuovo allestimento abbiamo effettuato il trasloco dei 500 reperti della tomba in quattro giorni lavorando senza interruzione, anche di notte. Abbiamo dovuto allargare le porte della vecchia saletta per poter far uscire i sarcofagi. Il papiro non era entrato da questa porta ma da un’altra apertura che è stata murata e non sono sicura che fosse in un pezzo unico.


Il problema è quindi come farlo uscire!

Esattamente. Dobbiamo capire come e dove sono stati uniti i vari pezzi (il papiro occupa una lunghezza di 13 metri n.d.r.) e come è stato assemblato. Questo papiro non è stato preparato dagli Egizi in un unico pezzo. Al momento per poterlo far uscire dobbiamo studiare un modo per proteggerlo e in questo momento per farlo dovremmo chiudere una zona del museo per poi sistemarlo provvisoriamente in qualche luogo. Se lo volessi inserire nel nuovo allestimento dovrei esporlo in una posizione non facilmente fruibile dal pubblico. Dobbiamo decidere con degli esperti come trattarlo; desideriamo non solo farlo uscire dalla vecchia sala ma anche salvaguardarlo.


In pratica fare come è stato fatto per la Sacra Sindone.

Sì! Vogliamo esporlo in modo adeguato e salvaguardarlo per il futuro in quanto la vecchia teca non è più adeguata per un reperto così importante.


Pochi giorni fa lei ha incontrato il ministro della cultura francese Mitterrand avete parlato di una nuova collaborazione con il Museo del Louvre?

Non è necessario contattare il ministro per tutto ciò. Con il ministro c’è stato unicamente uno scambio di cortesie e lui è venuto a visitare il nostro Museo. Con la mia collega del Louvre da anni abbiamo una stretta collaborazione. Tra musei esiste un codice e non occorrono autorizzazioni ministeriali per gli scambi. Attualmente il Louvre è molto interessato ai nostri reperti provenienti dal villaggio degli operai di Deir el Medina e noi siamo ben lieti di “prestar” loro alcuni reperti per le esposizioni temporanee.


Come sono i rapporti con il Supreme Council of Antiquities egiziano, vi è sempre la richiesta da parte del Dr. Hawass di riavere in patria determinati reperti?

Io ho un ottimo rapporto con Hawass, lui è un collega molto rispettoso. Alcuni anni fa aveva fatto alcune richieste ma la nostra collezione è legale! Tutti i reperti del museo sono usciti legalmente dall’Egitto sin dal tempo di Drovetti, con tutte le certificazioni e le autorizzazioni. Sono pochi i reperti acquistati, tutta la nostra collezione proviene dagli scavi. Il Museo non è mai stato “aggressivo” nell’acquisto dei reperti. Quando ero in Germania io ho dovuto acquisire perché avevo un fondo per gli acquisti, qui non succede. Tornando al dr. Hawass, mi scrive, mi manda allievi, mi chiede foto dei nostri reperti. Vi è quindi anche con lui una ottima collaborazione.


Abbiamo parlato di acquisizione dei reperti, come è la situazione attuale? È sempre vivo il mercato per così dire “parallelo” o è scemata la compravendita illegale antichità?

Sta calando questo mercato. Negli anni passati molti reperti erano non di certa provenienza poi finalmente nel 1970 si è stipulato un protocollo UNESCO che è stato accettato dalla maggior parte dei paesi proprio per tutelarsi da acquisti non certi; quando ero in Inghilterra questo paese non aveva firmato tale accordo ma i musei lo rispettavano ugualmente. Il pericolo oggi è quello di acquistare dei falsi. C’è stato un momento in cui molti reperti in oro e gioielli in generale erano falsi. Il problema è molto complesso.


Accade tuttavia che anche musei famosi espongano pezzi che poi si rivelano falsi. Le faccio una domanda “difficile” anzi due, ecco la prima: quale è la sua opinione sul busto berlinese di Nefertiti? Ultimamente alcuni studiosi ne hanno fortemente messo in dubbio l’autenticità. Io da profano pur rimanendo affascinato ogni volta che lo osservo da vicino, sono sempre convinto che nella sua meravigliosa bellezza non si trovino i caratteristici canoni egizi, pur appartenendo lo stesso al periodo di massima libertà artistica. La direttrice sorride alle mie parole e dopo una lunga pausa di riflessione mi dice:

L’arte egizia non esiste come regola generale. I busti egizi sono molto pochi, uno è quello di Tutankhamon, l’altro è il busto di Ankhhaf al Fine Art Museum di Boston e poi le “teste di riserva” dell’Antico Regno, sono quindi molto pochi i reperti di questo tipo. Nel suo libro lo scrittore svizzero si dichiara convinto che il busto di Nefertiti sia una opera di art decò. Per alcuni studiosi la documentazione dello scavo che ha portato alla luce tale reperto non è abbastanza dettagliata. Se io fossi il direttore del museo berlinese permetterei che tale busto venga esaminato.


Lei si comporterebbe come ai tempi fece il cardinale Ballestrero che proprio qui a Torino permise agli esperti di studiare direttamente la Sindone anche con il prelievo del tessuto.

Assolutamente sì! Quando c’è un dubbio bisogna fugare tutte le perplessità e dunque studiare a fondo il reperto.


Ecco la seconda domanda “difficile” . La sua opinione sulla autenticità del papiro di Artemidoro

Io non sono una esperta in papirologia, leggo il greco ma non sono così raffinata per esprimermi sulla diversa grammatica che differenzia i vari periodi. Dopo questa premessa tuttavia vorrei focalizzare l’attenzione sul fatto che un museo non può acquisire un reperto se non ha la certezza del luogo di provenienza e non possiede tutta la documentazione sull’oggetto. Il papiro di Artemidoro ha una storia molto particolare. Come voi sapete proviene da un cartonnage, e la documentazione relativa alla provenienza è lacunosa; pertanto il Museo e il suo Comitato Scientifico ritengono che un museo, come avevamo detto prima, debba attenersi a degli standard internazionali in merito agli acquisti.


Ma se le venisse chiesto di esporlo, lei come si comporterebbe?

Io non ho il posto per esporlo! Ricordiamo anche che lo si dovrebbe esporre in modo da rendere visibili entrambi i lati! Il mio problema come detto è un altro. Il reperto per essere esposto deve avere una sua storia ben documentata e il papiro ha una storia lacunosa. Le racconto alcuni episodi: quando ero a Cambridge c’era un reperto che mi aveva preso il cuore ed era importante per me. C’era una lacuna nella storia del reperto e non si capiva bene la provenienza, aveva un buon prezzo era sicuramente antico ma sempre deve prevalere la ragione sul cuore e così con molto rammarico non lo abbiamo acquistato. In una altra occasione una signora ci voleva regalare alcuni reperti provenienti dalla Persia. In questo caso l’acquisto era avvenuto dopo il 1970 e quindi abbiamo rinunciato alla donazione.


Quali sono i luoghi che più la legano all’Egitto, prima ha parlato dei suoi scavi a Philae e penso che uno sia questo, ma, ve ne sono altri?

In Egitto ho fatto scavi nel delta a Mendes (l’antica Djedet n.d.r.) e anche nel Fayum. Il primo scavo è stato importante e molto formativo e sicuramente molto soddisfacente in quanto abbiamo trovato molti reperti; nel Fayum ho amato molto il silenzio del luogo. È stato anche utile scavare in luoghi che appartengono a due periodi molto lontani e differenti a Mendes il periodo ellenistico e nel Fayum il periodo predinastico


Quali sono i reperti a cui è maggiormente legata?

Io ho studiato molto i reperti di metallo e facevo analisi sui diversi tipi di metalli specialmente quando ero a Cambridge. Per questo motivo amo molto le figure in bronzo, e quelle in rame dell’Antico Regno. Mi interessano anche moltissimo i reperti, sempre bronzei del Terzo Periodo Intermedio.


Interviene Mirko Balocco: Lei direttrice ha dedicato molti dei suoi studi al periodo greco, secondo lei dove sono le tombe dei Tolomei?

Possono essere in fondo al mare! Ma deve esserci nei pressi di Alessandria una necropoli tolemaica. Alcuni musei hanno acquistato alcuni reperti che sono usciti da tombe tolemaiche, come orecchini , diademi ecc. Parliamo di 16 re e ognuno di loro aveva più di una moglie. Il periodo racchiude 300 anni di storia ed è possibile che esista una “valle dei Re” tolemaica.


Nel museo tedesco di Hildesheim è conservata la statua di Hemiunu, ossia il progettista della Grande Piramide, secondo lei era lui il “capo” o presumibilmente era a capo di una equipe?

Io penso che lui sia stato a capo di una equipe; era un parente del Re e non penso che fosse un genio e potesse progettare da solo una tale opera.


Parlando sempre di Hemiunu, la sua statua presenta dei tratti molto realistici,eppure il periodo dell’arte amarniana arriva molto più in là nel tempo.

Effettivamente questa statua ha dei particolari molto accentuati, ma rivela anche problemi di proporzione; qualcuno mi ha detto che somiglia ad Hapi per via del suo seno prominente, i piedi sono troppo grandi. Ci sono segni di anzianità, di corposità ma, ripeto, anche di proporzione.


La domanda finale riguarda l’attuale allestimento dello statuario, rimarrà cosi?

No. Questo allestimento è destinato ad essere cambiato. Dante Ferretti è uno dei nostri consulenti e sicuramente studierà qualcosa di nuovo e innovativo per il nuovo museo. Si conclude così il nostro incontro con la direttrice dr.ssa Eleni Vassilika. La sua disponibilità è stata davvero notevole e siamo sicuri che appena avrà delle novità inerenti il museo ce lo comunicherà.


A cura di Sandro Trucco

Ha collaborato Mirko Balocco

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